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IL PROGETTO

Il progetto artistico “Musicomedians” ha come oggetto d’interesse, il CABARET sia in termini di proposta di spettacolo che di analisi storica. Si propone di:

  • presentare in chiave moderna e attuale lo spirito degli albori, attraverso incontri, dibattiti, manifestazioni, spettacoli e rassegne.
  • ricostruirne la storia (attraverso ricerche e confronti di carattere nazionale e internazionale, raccolta di materiale originale, recupero di testimonianze dirette), indagarne le origini e il senso con particolare attenzione allo sviluppo del genere in Italia, la cui culla è stata Milano.

ORIGINE

L’origine del progetto risale ad una analisi del contributo che la città di Milano ha dato alla cultura italiana attraverso l’arte sviluppata all’interno dei suoi cabaret negli anni ’50 e ‘60. Per citare alcuni nomi che hanno segnato la nascita del cabaret in Italia e nello specifico a Milano: Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, I Gufi, Franco Battiato, Paolo Poli, Cochi e Renato, Felice Andreasi, Bruno Lauzi, Enrico Intra, Franco Nebbia, Velia e Tinin Mantegazza, Carmelo Bene e altri.

E’ possibile promuovere in chiave moderna lo spirito di quei tempi?

OBIETTIVI

La mission del progetto si riassume in tre concetti basilari: recupero storico, sviluppo-ricerca e innovazione, che si evidenziano in due obbiettivi strettamente connessi.

Parte storica: interviste ai personaggi che hanno contribuito allo sviluppo del genere, ricerca di materiale originale e analisi del percorso storico.

Parte attuale: scambio generazionale dei percorsi artistici (artisti di varie generazioni a confronto), proposta attuale del cabaret (inteso in continuità con lo spirito delle origini).

D’altronde, perpetuare la tradizione del cabaret significa oltrepassarla, perché “superare la tradizione” rappresenta paradossalmente la tradizione stessa del cabaret (che rinnova continuamente i suoi linguaggi pur continuando a preservare la propria identità culturale).

VIAGGIO DI UN’IDEA

L’idea è nata nel 2000, a fronte di un primo nucleo di osservazioni effettuate da un gruppo di studio – costituito da Flavio Oreglio e Luca Bonaffini – attorno alla proposta artistica del cosiddetto “cabaret” attuale.

La domanda da cui si è originato il tutto è stata: cosa si intende oggi per cabaret?

La risposta trovata è sorprendente e illuminante: la maggior parte delle persone, infatti,  identificava (e identifica) il “cabaret” con la “comicità”.

Così “cabarettista” è diventato sinonimo di “comico”.

Niente di più sbagliato. Cabaret non vuol dire comicità. O comunque è riduttivo relegare la sua definizione e il suo contenuto al solo ambito del puro divertimento comico. Il cabaret è qualcosa di diverso e di molto più complesso.

Oltretutto, la degenerazione della proposta artistica attuale sempre più protesa  verso leggerezza e banalità (sintomo di una scelta politico-culturale ben precisa, voluta e governata ad arte) ha ammantato il vocabolo di un valore dispregiativo, per cui spesso, nel gergo quotidiano, quando si vuole  sottolineare la superficialità di qualcosa o di qualcuno, si utilizzano frasi come: “Questo è cabaret”… “Non fare il cabaret”… oppure “Non siamo qui a fare il cabaret”…e via dicendo.

Mai un’espressione fu utilizzata in modo più infelice e scorretto, a testimonianza della profonda ignoranza in merito a ciò che il cabaret ha rappresentato in passato e tuttora rappresenta là dove si manifesta.

Questo inconveniente è potuto succedere perché sedicenti “operatori culturali” da posizioni forti di visibilità e di predominio mediatico hanno attribuito a vanvera un errato significato a una terminologia di per se molto precisa, distorcendone la percezione e commettendo un vero e proprio delitto linguistico (e diffondendo in tal modo errori concettuali che sono diventati di dominio pubblico, trasformandosi in ignoranza collettiva).

Ma al di là di ipotesi e dietrologie per nulla fantapolitiche, resta il fatto che il significato che viene dato, in Italia, oggi, alla parola “cabaret” è totalmente sbagliato e fuorviante.   E si tratta di un doppio errore.  Infatti, l’attuale produzione di entertainement (soprattutto televisiva, ma ormai il problema è diffuso culturalmente a tutti i livelli) che si è appropriata di tale denominazione, in realtà propone tutt’altra categoria di spettacolo: quel glorioso “varietà”, che nulla ha a che fare con il “cabaret” e di cui, tra l’altro,  la proposta attuale costituisce una caricatura.

Per arrivare a un chiarimento occorre considerare la differenza che storicamente esiste tra “cabaret” e “cafè chantant”, tenendo presente che il cafè chantant è stato il progenitore-contenitore del “varietà”.

“CAFE’ CHANTANT” E “CABARET” (cenni storici)

Sia il cabaret che il cafè chantant sono nati in Francia.

Il “cafè chantant” vide la luce a Parigi, nella seconda metà del settecento, quando sull’onda dell’arrivo del caffè in Europa (il “vino dell’Islam”, importato dall’oriente) vennero istituiti appositi locali, denominati appunto “caffè” che si trasformarono in veri e propri competitor delle osterie che, dal canto loro,  ne osteggiarono – e non è una battuta – la diffusione.

Va osservato infatti, che fino ad allora, le osterie, insieme alla piazza e al sagrato della chiesa, detenevano una sorta di monopolio dell’aggregazione cittadina.

Nella fattispecie, per l’osteria, l’aggregazione rappresentava una fonte di guadagno non indifferente.

Con l’avvento dei caffè (caratteristica del periodo illuminista, testimoniata dalla pubblicazione della rivista “Il caffè” del Verri) l’offerta aggregativa si allargò, cambiando profondamente il panorama delle possibilità. Tra l’altro – e non è cosa di poco conto – va detto che per la prima volta veniva somministrata in un locale pubblico una bevanda non intorpidente (come erano state fino ad allora, dal tempo dei Sumeri, la birra e il vino) ma stimolante.

In seguito, alcuni locali cominciarono a offrire spettacoli musicali, denominandosi, appunto, “cafè chantant”. Col tempo diventarono luogo di proposta artistica e ricettacolo di un’arte varia che andava dalle attività circensi all’intrattenimento verbale del cosiddetto “fine dicitore”, dalla magia alla “chanteuse” (che diventerà, come vedremo, la “sciantosa” di stampo partenopeo) ai numeri di magia e ad altro ancora…

Il cabaret, invece, si originò più di un secolo dopo, sempre a Parigi nel quartiere di Montmartre (esperienza dello “Chat Noir” di Rodolphe Salis – 1881). Era il periodo della “Belle Epoque”- tra fine ottocento e prima guerra mondiale – di cui il cafè chantant  -  ormai affermato -  rappresentava uno dei simboli indiscussi.

Il cabaret sorse in antitesi (o se vogliamo in controtendenza) rispetto allo spettacolo di varietà dominante.

Perché “in antitesi” e “in controtendenza”?

Perché la differenza sostanziale tra le due tipologie di intrattenimento, risiedeva (e risiede) nel fatto che, mentre il cafè chantant fu sede di uno spettacolo di arte varia che perseguiva il puro divertimento (da cui si è originato, per l’appunto, lo spirito del  “varietà”), il cabaret nacque come momento letterario, critico, di ricerca, di anticonformismo. La sua creazione ha rappresentato uno snodo cruciale che ha originato nuovi linguaggi, tra i quali spiccano la canzone d’autore e molte forme teatrali legate alla critica sociale e alla  satira politica nonché – come vedremo -   altre tipologie espressive d’avanguardia.

Volendo riassumere gli elementi costitutivi del cabaret originario, possiamo dire che esso si caratterizzò (e si caratterizza ancora oggi) per:

1. la canzone d’autore (la “chanson canaille” di Aristide Bruant, capostipite dei cantautori)

2. la critica sociale e satira politica (si pensi al Kabarett tedesco della Repubblica di Weimar covo di attività anti nazista)

3. dibattito intellettuale (si pensi a Paul Verlaine che scrisse sulla rivista “Chat Noir”)

4. la ricerca di linguaggi (basti pensare al Dadaismo nato in seno al Cabaret Voltaire di Zurigo o l’Esistenzialismo che trovò sede nelle caves della Rive Gauche nel secondo dopoguerra)

5. la commistione e la contaminazione di linguaggi artistici differenti: musica – poesia – pittura  (si pensi alla prima mostra di Picasso effettuata a Barcellona presso il locale “Quatre gats”)

6. la dimensione poetica e letteraria (mi permetto di citare ancora una volta Verlaine che sulla rivista collegata al locale “Chat Noir” usò per la prima volta il termine “decadentismo” – Ma all’uopo sarebbe opportuno ricordare, oltre al già citato Dadaismo, anche il contributo straordinario di Berthold Brecht)

Sede di puro divertimento fine a se stesso il cafè chantant (spesso sconfinante nella cosiddetta “bassa lega”), ricettacolo di confronto e ricerca intellettuale il cabaret. Popolare e di massa il primo, di nicchia il secondo, accondiscendente al potere costituito il primo, ferocemente critico nei confronti della società e disobbediente il secondo.

Scopi diversi, metodi diversi, linguaggi a tratti diversi e a tratti simili.

Il cabaret e il cafè chantant si diffusero in tutta Europa.

Per quanto riguarda il cabaret, tra il 1881 e il 1885 a Parigi aprirono i battenti “Le chat noir”di Rodolfo Salis, “Le Tamburain” e “Le Mirlinton” di Aristide Bruant (che rilevò il vecchio chat noir spostatosi nel frattempo), nel 1897 nacque a Barcellona “Quatre Gats”, locale in cui farà la sua prima mostra di quadri Pablo Picasso, nel 1901 il cabaret arrivò in Germania (Kabarett) più o meno contemporaneamente a Berlino (il Super Cabaret) e a Monaco (il “Die elf Scharfrick “ (Il “Boia Elf”) di Frank Wedekind), nel 1906 a Cracovia apre il “Green Balloon”. Poi è la volta della Russia: a Mosca nel 1908 “Il pipistrello” e nel 1911 a Pietroburgo “Il cane randagio”, Nel 1916 vede la luce il cabaret più importante dopo lo Chat Noir, a Zurigo, il “Cabaret Voltaire” di Hugo Ball, che sarà la sede del nascente Dadaismo.  Sempre nel 1916  a Pietroburgo viene inaugurato il Prival komediantov e nel 1929 a Berlino La “Catacomba” di Werner Finck.

Solo in Italia e in Inghilterra non attecchì.

IL CASO ITALIA

Vediamo nel dettaglio il caso italiano.

Alla fine dell’800, l’Italia importò dalla Francia non il cabaret, ma il cafè chantant, dando il via alla straordinaria storia del “caffè concerto” soprattutto a Napoli (Salone Margherita) e a Roma, ma con interessamento anche di altre città tra cui Milano.

Qui da noi, il caffè concerto terminò la sua storia con l’avvento della prima guerra mondiale: fine della Belle Epoque, fine del caffè concerto.

Ma se sparì il progenitore, restarono i suoi discendenti.

Infatti, dopo la Grande Guerra, i locali che ospitavano il caffè concerto si trasformarono per lo più nei cosiddetti TABARIN, mentre lo spettacolo di arte varia che veniva proposto nei cafè chantant approdò al teatro con il nome di “Varietà”.

Durante l’era fascista, il panorama subì ulteriori modifiche soprattutto con l’avvento del cinematografo. È a quel punto infatti che il regime incentivò la trasformazione dei teatri in cinema, provocando una pressione selettiva non indifferente. Tuttavia, non tutti i teatri si adeguarono al nuovo prodotto, e gli artisti più affermati diedero  vita a un nuovo tipo di spettacolo più sfarzoso e in grande stile (LA RIVISTA) che fece concorrenza al cinema nelle sale pubbliche. Gli artisti meno affermati (e quindi meno in grado economicamente di imporsi sulla scena con produzioni ultra costose) si adeguarono alla nuova situazione dando vita all’AVANSPETTACOLO.

Varietà, Rivista e Avanspettacolo sono dunque le forme caratteristiche assunte dal cafè chantant (e dal suo approccio culturale) in Italia e costituiscono nel loro insieme la dorsale principale della nostra tradizione “comica” della prima metà del novecento.

Di cabaret non c’è traccia in Italia fino agli anni ’50 del 900, a parte forse Ettore Petrolini, che fu un personaggio contraddittorio e sicuramente anomalo, una sorta di precursore e antesignano del cabaret costretto a vivere nell’ambito del varietà ma   tendente ai canoni del cabaret francese e tedesco della sua epoca.

Il cabaret arriva in Italia – come dicevamo – negli anni  ’50, con le esperienze pionieristiche del Teatro dei Gobbi (Valeri – Caprioli – Bonucci) e il loro “Carnet de notes” cui si sono affiancati a Milano il trio Fo – Durano – Parenti al Piccolo Teatro e il gruppo di artisti genovesi che faceva riferimento a Paolo Poli nel locale “La Borsa di Arlecchino”,

Ma se il cabaret muove i suoi primi passi a Roma, Genova e Milano, è solo nel capoluogo lombardo che attecchisce, grazie alla nascita di parecchi locali tra cui SANTA TECLA – INTRA’S DERBY CLUB – DERBY CLUB – NEBBIA CLUB – CAB 64 e altri.

L’ispirazione arriva ancora una volta dalla Francia, dove nel frattempo, dopo la Seconda Guerra Mondiale, lo spazio del cabaret era stato preso dalle “caves” esistenzialiste della rive gauche in cui si esibivano i discendenti di Aristide Bruant che diedero vita al movimento cantautorale francese (Brassens, Brel, Vian…) e che furono il modello da cui prese spunto tutto il nostro movimento cabarettistico-cantautorale da Gaber a Jannacci, da Tenco, a de Andrè, movimento che di li a poco avrebbe recepito anche l’insegnamento del talento di Bob Dylan da oltreoceano prendendo sempre più autonomia dalla casa madre della canzone francese.

Ad ogni buon conto, fu questo il motivo per cui il primo cabaret italiano – che pure aveva mosso i primi passi dalla forma recitativa del teatro (Gobbi, Borsa di Arlecchino, Fo Durano Parenti) pura e caratterizzandosi per il linguaggio e lo sforzo di impegno dei temi trattati – assunse la forma del “racconto” fatto di musica e parole che si manifesterà in seguito nell’attività della cosiddetta “scuola milanese” con I GUFI (Svampa, Patruno, Brivio, Magni)  JANNACCI, GABER, VALDI, FO, fino al le canzoni surreali di COCHI e RENATO che costituiscono il limite storico oltre il quale si estende la degenerazione degli anni 70 che ha originato l’attuale confusione. Questo gruppo di artisti potrebbe essere identificato come la scuola del Teatro-Canzone (termine coniato da Gaber per identificare la sua proposta artistica, ma che potrebbe benissimo essere esteso, in realtà, a un movimento artistico di cui Gaber rappresenta sicuramente l’apice.) rappresentante dello stilema di riferimento (ormai relegato a nicchia) del cabaret italiano.